Se schiudete la porta di cedro, potete vedermi: sono disteso accanto a una ragazza che dorme, stretto alla sua schiena come un adolescente, con il respiro rotto e le lacrime che mi scendono sulle guance. Ho sessantasette anni e il postribolo che frequento impone regole implacabili: il divieto di svegliare le fanciulle, e nessuno scherzo di cattivo gusto. Non sta bene neppure infilare le dita nella bocca delle belle addormentate. Come gli altri vecchi, posso soltanto sdraiarmi accanto a loro. Contemplarne la nudità, la luminosa giovinezza. Accarezzarne il corpo, cercare di indovinarne i sogni. E in questa danza della nostalgia e dell’amore impossibile, misurare tutta l’irrimediabilità della mia solitudine e la tragedia di invecchiare, tra le intermittenze del desiderio e i ritorni di antiche abitudini. Riconoscendo in una camelia in piena fioritura l’odore del tempo.
Le ragazze sono lo specchio rovesciato del mio declino. Così vicine e così disperatamente lontane, come tutte le cose che si toccano senza poterle più possedere. Delle vergini narcotizzate irraggiungibili sia nel passato, sia nel vuoto che avanza. Il loro sonno è il riflesso della mia morte che si appressa.
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