Mi chiamavano così da quando facevo la terza ginnasio. Per via di quella passionaccia per l’inglese. Le donne dicevano che avevo gli occhi pazzi e tutti mi reputavano privo d’ogni spirito pratico. Non ci fosse stata la guerra sarei diventato professore, avrei insegnato letteratura. Invece vennero i bombardamenti su Roma, e l’8 settembre, e i bandi di Graziani. L’università restò a mezzo e il mondo civile si mutò in un mare pietrificato di colline davanti ai miei vent’anni.
Da lì, non vidi nient’altro che onde e venti. L’oceano di Achab, la foresta di Robin Hood, la piana di Ilio. Tutto il teatro d’avventure che avevo immaginato da ragazzo in una soffitta. Non esitai e presi parte.
Morii una volta, che la guerra civile era appena iniziata, in un racconto di cui ero il protagonista; poi tornai, come capita solo a pochi personaggi, in pagine sofferte e non più attese, perché avevo sempre avuto un debole per chi si difende. Mi stesi in una spiaggia lunare, mi accesi un’altra sigaretta e aspettai che passasse una colonna di nazifascisti.



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