Una telefonata; un corpicino mutilato nel bosco di Mägendorf; una promessa di giustizia a una madre disperata; una schiera di bambini all’aeroporto. Così il motivo del caso mi si annunciò quando ero ancora un algido e imperturbabile commissario al culmine della carriera e in procinto di trasferirsi all’estero. Qualcosa d’irragionevole e d’imprevisto che mi destituì di colpo dal mondo a cui appartenevo.
Matthäi mattatutti, mi chiamavano i colleghi. Ma questo accadeva prima che entrassi come uno spettro in un cantone dell’assurdo dove transitavano orchi sanguinari su macchine americane. Portandomi dietro la mia puerile esigenza di ristabilire un ordine e una logica.
Presi in gestione un distributore di benzina e aspettai. La mia fu la sonata a requiem di una secolare generazione di fiduciosi detective. Persi la sfida e di me non restò che un vecchio istupidito che puzzava di sigaro e d’assenzio. Perché nemmeno nell’opulenta e pulita Svizzera i conti tornano. Anche lì le vicende degli uomini possono non avere scioglimento e pesare col loro groppo d’intollerabile incompiutezza su un altare barocco di menzogne.



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