Sono un senza famiglia, un Pinocchio di riviera, un garzone ciabattino con un volo di efelidi intorno agli occhi, e la voce roca, e i capelli ispidi. A ogni frase intercalo un mondoboia, e canto strane canzoni di guerra, e sembro fischiare quando rido. Mastro Pietromagro, da cui lavoro, è in carcere; mia madre è morta; mio padre s’è imbarcato marinaio e mia sorella è la Nera del Carrugio: dalle mie parti, in Liguria, la conoscono tutti e tutti ci sono andati, tedeschi e partigiani.
Non so se è per questo che ogni tanto mi assale come una strana nebbia, ma quando la sento alzarsi smetto di piroettare nel fumo dell’osteria o di cantare canzoni della mala o divertire l’indecifrabile mondo degli adulti, e senza salutare m’avvio al torrente per una pista sassosa.
Lì c’è un posto che conosco io soltanto, dove nidificano i ragni. Ma per arrivarci bisogna attraversare oliveti e prigioni, sgusciare alle guardie, ai giganti e ai Lucignoli della Resistenza, prima di ritrovare uno sconcio di terra al posto di un sentiero, ma striata ancora da una scia intermittente di lucciole.



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