Mancavano due anni alla Grande Guerra quando fui soffocato di colpo, sulla piattaforma di un tram catanese, da un pallore sconosciuto. Avevo dodici anni, e quella smorfia vischiosa delle labbra non mi ha abbandonato più ogniqualvolta è tornata a sfiorarmi la carne di una donna. La sensualità è dilagata in me come una tetra ossessione.
Figli della parte luttuosa della luce e di un vento africano, i miei occhi azzurri conservarono a lungo un’indolenza mediorientale e il gelo di un rimpianto. Perché la mia fu una vicenda di mancanze, di aspre consegne del sangue, e l’amore una barocca disperazione: la sfida perduta di possedere la totalità delle cose e attributi divini, l’inevitabile eclissi del senno.
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