La mia camminata è da malandro: mani in saccoccia e colletto della camicia rialzato; gli occhi furbi, l’aria paragula e nelle tasche dei calzoni un pettinino umido. Per mangiare vado dai frati, per vivere m’arrangio sulla circolare e dormire dormo nel corridoio d’una scuola.
Sono uno sfrattato, dalla guerra e dalla pace, dall’adolescenza, un moretto che deve dimostrare la sua dritteria tra i vapori neri di calce di Roma, e le sue periferie canicolari, e questo cielo lercio, rapace e sgangherato.
Quando mi riconcilio con la vita canto a squarciagola, fumo un pacchetto di nazionali e vado a bagnare nell’Aniene la mia slabbrata e pidocchiosa esistenza, oltre i casamenti in costruzione e gli zatteroni. Ma a volte resto a gelare sulla riva, quando m’accorgo in ritardo di altre rondini che affogano nel fiume, che la corrente trascina.
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