Pacificare la terra; imprimere una forma e un ordine a tutte le cose: questo fu il capolavoro a cui mi applicai tutta la vita. La linea della mia azione politica di imperatore di Roma. Stabilire un aureo equilibrio tra fantasia e ragione, eros e conoscenza, fermezza e duttilità, riflessione ed esperienza.
Lavorai su me stesso instancabilmente, osservai, lessi. Attraversai a occhi aperti ogni sentimento: il rancore, l’ambizione, l’amore per le donne e quello per il giovane Antinoo, la malinconia del desiderio; rischiai le imboscate del tedio, della malattia e della sregolatezza; meditai sulla morte. Così, lentamente, da colui che all’occorrenza era stato ufficiale cortigiano viaggiatore amante nacque la miracolosa precarietà di un giardiniere dell’immaginario e del reale.
Gli antichi credettero divina la mia investitura. Non si trattava, invece, che di una piccola anima che vagava leggerissima nella multiforme complessità dell’universo.



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