L’Urbe è un anello di fuoco; i tamburi della pubblicità rullano; l’isteria percorre le strade; la televisione cresce a dismisura sino a ingoiare le pareti e i libri sono ridotti a nere farfalle di cenere. Questo l’inferno di fuori, luce da basso Impero, specchio e proiettore di un altro più esteso e privato inferno: quello di cui mi resi conto di colpo, una sera.
Poche parole con una sconosciuta e la mia infelicità venne svelata. Mi saltò il matrimonio, bruciò la mia casa e, in un solo giorno, da incendiario milite della gioia mi ritrovai a correre lungo la ferrovia insieme a vecchi ostaggi della paura con il cromosoma della gentilezza infisso negli occhi e nelle mani. Custodi di ciò che scompare, ultime biblioteche ambulanti sotto i nostri cieli illetterati e sordi.
Per loro i libri avevano odore di noce moscata e quando parlavano era come se salmodiassero versi. Per chi come me ha la radice del nome nel primo giorno della settimana non era proprio possibile resistere alla tentazione di credere che tutto potesse ricominciare.



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