Vivo nel cuore cattolico d’Europa: l’Irlanda. Sono alta un metro e sessantotto, sessantatré chili di peso, e come misure: ottantotto, sessantacinque e novantadue. Porto scarpe senza tacchi e mi piace accavallare le gambe sotto le gonne corte quanto i miei capelli mogano scuro. Mio padre andò a comprare una scatola di fiammiferi quando avevo otto anni e da allora non è più tornato.
Ora ne ho diciotto e curiosità fresche e inappagate. Ma per esprimerle devo cambiare idioma. Il mio diario lo scriverò in francese, in omaggio a un professore di cui sono innamorata. Mi basterà usare quest’altra lingua perché tutto, dalla scoperta del sesso all’istituto della famiglia, divenga spensierato e buffo. Una processione di satiri con la coda e di vampiri; un registro di bicchieri di uischi, e sbarre d’acciaio tiepide e vellutate da afferrare. Tenga duro, signorina, mi ripetono sempre gli uomini. Sul dizionario, ho controllato, alla parola vergine c’è scritto: «dicesi di terra non manipolata, incolta». Ma io, senza vantarmi, sono al contrario piuttosto colta.
La vita, in fondo, non è nient’altro che un esilarante e grottesco equivoco o refuso.



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