Dicono che la polizia ancora ci cerca. E che qualcuno, di tanto in tanto, avvista una Chevrolet Impala simile a quella su cui viaggiavamo alzare la polvere sotto i cactus giganti di Sonora, alla periferia della civiltà. Del deserto, in fondo, abbiamo sempre portato l’odore. Un tanfo di palude e di sabbia nei nostri jeans frusti, nelle scarpacce da ginnastica, nelle giubbe strappate.
Due spaventapasseri con le occhiaie da drogati, e i capelli lunghi, e una risata ospedaliera, che non sopportavano Octavio Paz, volevano fare una letteratura disperata e cambiare per sempre la poesia messicana: niente più di questo eravamo. I riesumatori del realismo viscerale, un movimento letterario di cinquant’anni prima, con le sue riviste perdute di un numero solo e i nostri denti gialli. Due cataloghi ambulanti di avanguardie. Due spostati, uno cileno e uno messicano, orfani per vocazione, che leggevano sotto la doccia e se ne andavano per il Messico con un magnetofono, una prostituta e un giovane poeta alla ricerca delle ultime tracce di Cesaréa Tinajero, la nostra capostipite.
Alla fine degli anni Sessanta o all’inizio dei Settanta ci potevi rintracciare al caffè Quito o al bar La Encrucijada Veracruzana a chiedere il dono della chiaroveggenza a una bottiglia di mezcal Los Suicidas o a rubare libri in qualsiasi libreria, scantinato o antiquario del Distretto Federale.
Fumavamo nei capanni e c’era chi sosteneva che trafficassimo in marijuana e foto pornografiche. Nei momenti migliori ci sentivamo come una bomba a orologeria che ci avrebbe finalmente liberato dalla vergogna, e dall’imbarazzo, e dalla stupidità. Passeggiare ci dava i brividi e ci provocava visioni, come se sotto ogni pietraia del nostro continente ci fossero piramidi sepolte, e vulcani da restituire alla superficie. Volevamo rinascere da un verso, tra Parigi e le carceri dell’America Latina, essere gioco e rivolta, sesso e letteratura fino all’alba, inventarci una genealogia fantastica e radicale, indagare il fuoco selvaggio di una generazione un tempo misteriosamente felice e ora, una volta di più, irrimediabilmente dispersa.
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