Mia madre era una contorsionista brasiliana del Rio Grande do Sul, che lavorava per un circo italiano. Mio padre un linotipista serbo, anarchico incancrenito e affiliato alla confraternita cabalistica Poluskopzi.
Io nacqui nel carrozzone di un trapezista bulgaro, in un villaggio della Bosnia, nel 1897, con un dito indice in più in ogni mano. Secondo il rituale della sua setta segreta, mio padre mi praticò l’ablazione del testicolo destro, perché anche simbolicamente venissi su di sinistra.
Nonostante mia nonna fosse una schiava negra bantu, il colore della mia pelle è inequivocabilmente bianco. Gli occhi sono invece verdi, ma i capelli scuri e ricci. Nell’ambiente del circo imparai nove lingue, più il siciliano da un mangiatore di fuoco. A dodici anni avevo già letto Proudhon, Bakunin e Kropotkin; a quindici fui ammesso alla Skola Atentatora, dove imparai a maneggiare armi da fuoco, lame e nitroglicerina.
La mia missione era quella di rimuovere i tiranni dal mondo, ma arrivai in ritardo con tutti gli appuntamenti del mio destino. A Sarajevo, nel 1914, gli indici mi si incastrarono nel grilletto di una pistola mentre mi passava davanti l’arciduca. Perché sono irrimediabilmente goffo e maldestro. Se una nave affonda, io, Dimo, mi tuffo fuori dalla parte sbagliata. Ma grazie alla mia aria distratta da poeta denutrito, esercitai un fascino irresistibile sulle donne.
Nella mia vita di picaro e sfortunato tirannicida, incontrai Mata Hari sull’Orient-Express, fui salvato da Maria Curie in persona, portai Al Capone a vedere il baseball e a Parigi frequentai le stesse bettole di Picasso e Modigliani… Cambiai molti nomi: fui ballerino a New York, comparsa a Hollywood, gangster a Chicago e un nano Thug continuò a perseguitarmi, a mia insaputa.
La mia favola comica mi portò nel cuore confuso della Storia, in Brasile, dove accertai lo scherno e il paradosso di essere parente prossimo di un dittatore: il nipote degenere di Getulio Vargas.



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