Nacqui tra frattaglie di pesci e sciami di mosche, vicino al cimitero degli innocenti, nel luogo più maleodorante di Parigi. La prima impressione che ebbi del mondo fu il suo fetore, e la scia di marcio che lasciano gli uomini, e quella scadente di Dio.
Le strade puzzavano; puzzavano le stanze, i fiumi, le chiese, il mio secolo e quelli a venire. Soltanto a me toccava questa maledizione di non avere odore. Le balie mi rifiutarono, dagli adulti non ebbi aiuti né indulgenze e crebbi come un piccolo ragno zoppo, il viso inespressivo ma le narici dilatate a inventariare l’essenza cromatica e pestilenziale d’ogni sentimento.
Finché non divenni l’apprendista di un vecchio profumiere e imparai a distillare l’odore anche dal corpo delle donne, alla ricerca dell’armonia perfetta. Tutto si risolse in un gioco di alambicchi, di miracoli feroci e balsami volgari, nell’ansia di ammaliare e di corrompere, da cui solo la crudeltà dell’amore poté affrancarmi.
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