Sono un enfant de sable, una forma che cambia continuamente, esposta a ogni colpo di vento e agli umori delle maree. Ma più che una forma sono una voce, la somma delle voci che mi raccontano e di quella, segreta, che mi scava. Tutto cominciò con la follia di mio padre che, senza eredi, impose a me, la sua ottava figlia, d’essere maschio. Ne nacque l’impudica trama di un sesso assente, negato, rifiutato, che faceva morire di tristezza chi la raccontava. Allegoria intarsiata di un estremo abuso. Ma anche scoperta che tutto è doppio e mescolanza, cabotaggio senza fine intorno alla nostra identità.
Perché, come ho scritto nel mio diario, «non si ritorna mai da così lontano come da se stessi».
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