Guardo nel cortile il muro della casa di fronte senza sapere cosa fare. Sono un chirurgo abituato a scavare con le mani sotto la superficie delle cose, lacerato dall’ossessione per le donne e dall’amore per Tereza. Un uomo sottoposto al dominio del caso e alla vertigine della carne, alla solitaria disperazione del «poteva benissimo essere altrimenti». Perché la felicità è desiderio di ripetizione e invece tutto accade una volta sola e possiede la spaventosa e cinica leggerezza di ciò che non ritorna.
Per questo guardo nel cortile il muro della casa di fronte. Da qui a volte osservo il regno del Kitsch totalitario che si estende fuori dalle mie domande, a volte sogno il Paradiso come un luogo dove si sia eccitati alla vista di una rondine e si possa amare una donna «senza essere disturbati dall’aggressiva idiozia del sesso». Esiliato in un silenzio che nemmeno il dolore per la morte di un cane può rompere, sto ora pensando che compatire è un verbo che riguarda più l’immaginazione che tutto quanto il resto e che la sensibilità è in definitiva una forma della fantasia.



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