Ci fu un tempo senza tempo, privo di orologi e di calendari, in cui esisteva un mondo magico ch’è finito e nel quale navigavano, come in un acquario, silenzi tranquilli e dicerie portentose.
Io ero una bimba chiaroveggente e spiritata, incline al mutismo e alla distrazione, e quel tempo lo salvai in tanti quaderni stretti da nastri colorati e ordinati secondo gli accadimenti contenuti e non attraverso l’algebra ingannevole delle cronologie. Se poi la memoria lascia davvero, come le lumache, una schiuma luminosa d’inverosimiglianza intorno a sé, non importa. Continua a esistere solo ciò che riusciamo ancora a immaginare su una lavagnetta d’ardesia e non c’è altra cura per quest’impasto di fragilità e di violenze, né amore più pietoso per la vita. Ciò che conta è quanto nascosto nella verità tumultuosa dei sogni che ognuno, per suo conto, deve divinare. Tra terremoti, relazioni clandestine, colpi di stato e funerali di poeti.
Questo fu il mio invito, perché altre mani femminili, dopo le mie, coperte sempre di guanti invernali, conservassero la nostra familiare leggenda e il passato della nostra terra, il Cile, quando sarebbe venuta l’emorragia dei minuti e del senso delle cose e il naufragio d’ogni incantata rappresentazione della Storia.
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