La stirpe da cui provengo è illustre, ma immaginaria, e la gente dalle mie parti ancora si chiede come sia possibile discendere da un personaggio di romanzo, anzi dal capostipite di tutti i personaggi moderni. Al pari del mio avo, sono nato in un certo paese della Mancia che nessuno ha mai nominato, ma vivo a El Toboso come curato di campagna con una fantesca ben piantata per terra e dai denti in fuori, che mi cucina solo bistecche di cavallo e al termine del pranzo mi porta un bicchierino di malaga. Per Ronzinante ho una Seat 600 piuttosto malridotta e una volta al mese ricevo una rivista teologica da Madrid, ma ormai non leggo che il breviario e il giornale. Quando capita scambio due parole col fornaio, il macellaio e il proprietario del garage e della trattoria. Ma il mio interlocutore preferito è l’ex sindaco del mio paese, Enrique Zancas, di fede marxista, che chiamo scherzosamente Sancio, perché la sua famiglia ha origine dai Pancia.
Per avere dato aiuto a un alto prelato italiano in panne, fui nominato mio malgrado monsignore, con grave scandalo del vescovo locale, e dovetti partire verso Madrid alla ricerca di una sartoria ecclesiastica. Ma non prima di avere stipato nella mia Seat una forma di formaggio della Mancia, qualche salsiccia affumicata e del vino rosso.
Con Sancio, il mio compagno di viaggio, mangiammo sotto muri diroccati con sopra il disegno di una falce e un martello; dormimmo all’aperto; elencammo quanti accenni all’inferno sono presenti in ogni evangelista; ci scambiammo libri e abiti e scoprimmo che Marx parlava alla stessa maniera del Cavaliere dalla Triste Figura; dibattemmo su Torquemada, Stalin e tutti i Generalissimi della Storia; a Valladolid entrammo per sbaglio in un cinema dove proiettavano una pellicola sconcia e alla fine ci ritrovammo d’accordo che l’esercizio del dubbio avvicina gli uomini più di ogni fede. La nostra fu un’odissea stradale attraverso una terra che non crede più a nessuna delle fandonie scritte nei vecchi volumi di cavalleria, di teologia o di politica. L’avventura di un prete errante e di un famigerato comunista costretti a rinnovare le gesta dei loro antenati in mezzo ai potenti di ogni secolo e alle Guardie Civil che non la smettono di bruciare libri e speranze e dare la caccia a chi è fuori dalla norma.
Ferito, venni ricoverato in un monastero di trappisti e celebrai l’ultima messa con un’ostia e un calice invisibili. Ma nel silenzio finale una domanda fiorì sulle labbra di Sancio come un fungo in una cantina buia: «Perché l’odio – persino di un uomo come Franco – muore con la morte di chi è odiato e l’amore invece continua a vivere e a crescere anche dopo l’ultima separazione?»



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