Dall’aspetto mi direste un uomo all’erta: l’occhio acuto, la lingua agile, l’aria fiera e grande degli antichi. Ho le dita delicate, sempre ricoperte dal limo dei libri, perché solo sfogliare codici e manoscritti mi consola dell’assenza di ordine che riscontro nelle cose degli uomini e della natura. Vengo dalla Britannia, dove ho imparato a nascondere la celia nella serietà e viceversa. Gli altri frati sostengono che a volte inarco il ciglio biondo sulla fronte macchiata di efelidi in moti di stupore o di rabbia, e tiro strane esclamazioni, e che nell’osservare le stelle, la notte, deliro di macchine volanti.
In realtà, in una sacca custodisco sempre un astrolabio, un orologio e un magnete. I miei maggiori sono Francesco d’Assisi e Ruggero Bacone e la mia elogiata saggezza è tutta in questo rispetto della semplicità e nell’orgoglio della ragione. I miei trascorsi d’inquisitore, contrariamente alla regola, mi hanno educato all’indulgenza e alla tolleranza. So quanta varietà risieda nell’unità, e conosco il potere delle erbe e quello delle donne, e la sapienza dei greci e quella degli arabi. La leggenda del mio acume ormai mi precede in ogni parte d’Europa. Ma preferisco peccare di vanagloria e di curiosità che calarmi senza bussole in questo Evo Medio attraversato dai segni dell’Apocalisse, tra biblioteche murate e labirinti di allegorie e infamie.



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