A volte, la mattina, mentre bevo una ciotola di latte e ascolto un po’ di musica su Radio Mil, mi prende il rimpianto di terre mai conosciute. Sarà perché sono figlio di un capitano di marina basco e delle ninnenanne di una cantante folk irlandese. Un uomo sradicato sin dall’inizio, e sempre in fuga: dalla borghesia passata e dalle porte del ritorno. Ma al caos urbano di Città del Messico che mi sale dalle finestre riservo ogni giorno un sorriso alla Steve McQueen e le mani cominciano a sudarmi. Sono già morto una volta, crivellato di colpi. Ma i miei lettori mi hanno richiamato in vita, come un pinocchio messicano.
La licenza l’ho ottenuta per corrispondenza e lo studio lo condivido con un idraulico: una targa lucida sulla porta e una scrivania comprata al mercato della Lagunilla. Più un vicino di casa antifranchista e un’assistente bionda. E molti ricordi da sistemare: un fratello militante di sinistra che dà voce a quel che resta della mia coscienza e una sorella avvilita da un matrimonio troppo ortodosso.
Io, il versante conservatore della famiglia, uscii dalle regole del gioco a trentuno anni, dopo un film su un tipo che si credeva Sherlock Holmes, la notizia di uno strangolatore sulla nera e una notte insonne. Un’idea mi si piantò nella testa come uno stuzzicadenti. Tre giorni e lasciai mia moglie e il mio lavoro di dirigente industriale alla General Electric.
Da allora sono il più sfigato e improbabile dei detective, un occhio perso in uno scontro a fuoco e una speranza incerta e claudicante; uno che insegue soltanto la sua ombra irregolare, cercando invano di risolvere lo strano caso del suo isolamento e del suo malessere. Ma non chiamatemi detective privato, perché mi definisco un investigatore indipendente. E anarchico.
Mi potete incontrare per il parco dell’Alameda o alla Metro Pino Suárez o rifugiato in una taquería, quando fa freddo, con una sigaretta che sa di rame all’angolo della bocca, gli occhi stravolti dalla stanchezza e la mia vecchia giacca di velluto. Come Billy the Kid, dovrei dare le spalle al muro e non perdere mai di vista l’entrata più vicina. Ma finisco sempre per farmela addosso dalla paura e per bruciare d’amore… Per l’avventura di una ragazza con la coda di cavallo. Per la febbre della mia città piena di antenne e di perversioni. Per il rompicapo sgangherato delle mie indagini. Per tanti pomeriggi grigi come l’acciaio.



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