Alla Gestapo ci chiamano il «pilota fantasma». Non sanno mai in anticipo i nostri movimenti. Possono soltanto nell’attesa piantare bandierine rosse sulla carta topografica della capitale, sul nome dei quartieri in cui solerti e terrorizzati cittadini consegnano ogni settimana le loro cartoline incendiarie. Perché la Resistenza, dopo che si è perso un figlio in guerra, può anche essere un affare di inchiostro, guanti e buche per le lettere, un fermoposta di coraggio e di guerriglia privata e privato dolore.
Ci vorranno 285 messaggi di propaganda antihitleriana, di cui soltanto 18 non giungeranno spontaneamente alla polizia, perché un commissario troppo appassionato potrà finalmente rinvenire nel mio profilo d’uccello di vecchio operaio dall’aria bisbetica e in quello della mia signora gli irriducibili fattorini che per due anni, pur malati di reumatismi alle gambe, sono saliti su tutti i tram di Berlino a riscattare l’ignavia di un popolo e la loro personale tragedia.



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