Sono sulla linea di porta e aspetto il fischio dell’arbitro. Non so dove tirerà il mio avversario, se a destra o a sinistra, e se la palla mi passerà tra le gambe o riuscirò a toccarla. Un tempo sono stato un portiere di calcio professionista. Ho giocato in tournée anche in America. Mi hanno ricucito le labbra diverse volte, e mi sono pure rotto le costole e spaccato in due la lingua. Poi ho trovato un posto come elettricista e le notizie sportive le ho lette solo sul giornale. Ma è come se non mi fossi mai mosso da qui, da questo rettangolo di erba e di polvere. Come se non fossi mai stato licenziato; come se non avessi mai strangolato una donna, la cassiera di un cinema, senza motivo. È che sono rimasto troppo a lungo disimpegnato fino a sentirmi fuori dal gioco. Espulso da tutto. In attesa.
Dalla mia posizione non faccio altro che osservare. A occhi aperti subisco l’invadenza dei particolari. Ogni dettaglio mi lampeggia davanti come un’insegna luminosa: l’orecchio di una cameriera, la schiuma nelle bottiglie di birra, una crosta sotto un cerotto, il vapore di una teiera… Vedo i contorni degli oggetti e degli uomini: un sottobicchiere, le scarpe a punta di un soldato, la sconvenienza della nostra presenza nel mondo. Osservo e associo. Una frase produce un’altra. Ma m’infastidiscono i fotografi dietro la porta. M’infastidiscono i giochi di parole, le cattive battute dei giornalisti sportivi, i banali doppi sensi. Non sopporto la disinvoltura con cui si conversa. Eppure, se li chiudo, gli occhi, sono proprio le parole a invadermi. Provo a fuggirle inserendo un gettone in un juke-box, provocando una rissa, camminando senza sosta per Vienna o in una stazione di provincia… ma è sempre qui che torno, a questo campo sportivo. Vorrei fare delle domande. Sapere in anticipo il prezzo di tutto. Da quale direzione arriverà il tiro. Sento invece solo le biciclette dei gendarmi nel bosco, e i cani. E il pallone che rimbalza, sulla linea. E le frasi abituali che vanno gambe all’aria. «Cerco un punto d’appoggio nello svolgimento delle cose», ma non lo trovo. Mi sembra di annegare, come un bambino muto.
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