Se chiedete di me, a Ilium vi diranno subito: Billy Pilgrim? L’ottico svitato che dice di essere stato rapito dai marziani? Lo trovate al negozio del suocero, che prescrive lenti correttive a tutte le anime terrestri perché crede che la vita sia un errore ottico. Oppure allo zoo del pianeta Tralfamadore. O al quinto edificio del mattatoio di una città che non esiste più.
Più facile che mi incontriate al giardino comunale. Sono il vecchio che parla con gli uccelli e ascolta da loro tutto quello che c’è da dire sui massacri della specie umana. Un mammifero di uno e novanta di statura, le spalle strette come una scatola di fiammiferi e l’aria di un fenicottero sperduto. Un vecchio rudere, dall’alito di iprite e di rose la sera, che a volte si mette a piangere senza motivo e senza lacrime.
Da ragazzo, somigliavo a una bottiglia di Coca-Cola. Ero il figlio di un barbiere. Poi andai militare: soldato semplice della guerra mondiale numero due. Un ridicolo prigioniero barbuto e smilzo come un aquilone rotto, al centro di spidocchiamento di Dresda. Quello con il panciotto senza maniche col bavero di pelo e la piastrina numerata al collo. Mi salvai dal più grande bombardamento della storia europea stipato in un deposito di carne, tra mucche macellate e maiali squartati.
Vi ci porto, se ne avete voglia, così vedrete con i vostri occhi.
Credetemi: posso entrare e uscire da ogni istante del mio passato e del mio futuro. Per me, l’esistenza è una porta girevole. Ogni momento è strutturato in modo da replicarsi all’infinito. Me lo hanno insegnato gli extraterrestri verdi e bassi come sturalavandini che mi hanno prelevato la notte del matrimonio di mia figlia. L’ho anche detto in un talk show, ma nessuno mi ha preso sul serio. Per i medici della terra, le mie continue convulsioni temporali sono il frutto di una lesione al cervello dovuta a un incidente aereo. O agli elettroschock subiti al ritorno da Dresda. Dresda. La luna, la chiamo io. Ci lavoro ancora come minatore di cadaveri, vi dico. Così va la vita.



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