Di solito me ne sto al Caffè Commercio, nella sala dei due biliardi, con in mano un bicchiere di una qualche porcheria all’americana e dentro una rabbia che non si può medicare. Sono lungo di braccia, ma di poche parole, anche se di imprese ne avrei da raccontare: prima quelle in montagna, contro i tedeschi, poi le altre, le avventure di strada e di contrabbando, per chi ne ha il fegato e la vocazione. Ma la mia data di nascita è un errore anagrafico: sono come uscito da una pellicola di vent’anni prima che un censore troppo severo aveva giudicato solo un cartonaccio.
So che per sentirsi uomo per tutta la vita bisogna passare molte prove, pure quella di andare da tre che hanno le mani grosse e dirgli d’avere messo incinta la figlia o sorella, e accettare la loro violenza. O di non dar retta ai propri genitori, che mi volevano impiegato. So anche che avrei potuto perdermi, ma per me c’era stata Vanda. E ora questa speranza di un distributore sulla comunale.
Presto prenderò il cappello, gettandomi la giubba sulle spalle. Il camion è alla rimessa. Era così che avrei voluto traghettare tutta la terra di nessuno che c’è tra la fine di una guerra, di quella guerra, e l’inizio di una vita come le altre. Se la mia storia, greca di fato, me ne avesse dato il tempo.



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